domenica 10 luglio 2016

Il referendum in UK

Eccoci qui a parlare di brexit.

Possiamo dire che ci sono due livelli di discussione: sociale ed economico. Certamente intrecciati – non potrebbe essere altrimenti – sono però due livelli che bisogna analizzare (sfortunatamente non a livello approfondito) separatamente.

Il mercato comune e la moneta Euro sono stati adottati per semplificare gli scambi commerciali all’interno del mercato europeo. Banale. E’ stata una questione puramente razionale-economica: meno tasse sui beni/servizi, maggiori vantaggi per i consumatori. Questo a prescindere dal fatto che una nazione – all’interno del mercato comune europeo – possa avere come moneta l’Euro o meno. Detto questo, e detto che la materia macroeconomica non è una scienza esatta, si può comunque cercare di capire tendenze ed evoluzioni che una scelta di politica economica può (potrebbe) causare.

Secondo FMI e OCSE una Brexit porterebbe a questi scenari. Schematizzo.

– Aumento del costo di finanziamento dovuto all’incertezza del futuro. Non si sa quali saranno i termini di rinegoziazione degli scambi commerciali.
– Difficoltà di finanziare politiche di deficit per il deflusso di capitale fuori dalla UK. Meno capitali da tassare meno soldi per le politiche sociali e di rilancio economico.
– Passaggio da una regolamentazione favorevole per il mercato unico europeo verso la regolamentazione standard del WTO. Più o meno metà del commercio UK è da e verso la UE. In altre parole: aumento della tassazione sui prodotti e servizi che si rifletteranno su un aumento del prezzo finale al consumatore.
– Disincentivazione del lavoratore europeo verso il mercato UK. Questo, certo, è voluto da una parte — la parte brexit — dei lavoratori ma che produce – a lungo andare – una minore competitività della produzione e degli investimenti. Chi lavora di più o ha più skill va dove viene pagato di più. E un mercato chiuso – soprattutto nel breve periodo – ha solo la svalutazione competitiva da “giocare”. Ma i costi della svalutazione si abbattono solo sul capitale variabile a reddito fisso: i lavoratori dipendenti.
– Apprezzamento dell’euro e di altre monete nei confronti della sterlina. Questo che potrebbe essere positivo per i prodotti esportati renderebbe di contro i competitor della UE più restii a concedere vantaggi sugli accordi commerciali in essere.
– La difficoltà di recuperare finanziamenti per la fuga di capitali e l’aumento di rischio produrrebbe nel lungo termine una diminuzione della ricerca e sviluppo e degli skill dei manager e lavoratori ad alto tasso professionale.

Questi sono ovviamente previsioni basate su modelli macroeconomici che si potranno avverare o meno, con più o meno intensità, ma alcuni fattori isolati sono sicuri. E parlo dell’aumento delle tariffe per gli scambi commerciali, tanto che si parla espressamente di brexit come di una “tassa”. Lo stesso per i disincentivi per i lavoratori più qualificati: quelli che sono costretti a migrare per motivi contrari alla propria volontà accettano quasi di tutto ma chi decide di spostarsi lo fa dove ritiene di avere meno problemi a livello sociale ed economico e più sicurezza e stabilità. L’unica cosa sicura in UK adesso è l’insicurezza. Nel prossimo futuro, che è quello che interessa al lavoratore qualificato, ancora di più.

Lo riporto ma è un numero che si basa su previsioni che tengono insieme molti fattori e che quindi è largamente discutibile. Per l’OCSE l’impatto sul PIL in UK sarà inferiore rispetto alla contrazione del PIL in EU e avrà questi valori indicativi.

GDP %
Near term: 2020                                              -3.3%
Longer term: 2030          central -5.1% / Optimistic -2.7% / Pessimistic -7-7%

Nel 1973 l’UK ha aderito al mercato comune diventando membro dell’UE. Sotto metto un grafico che mostra la ricchezza pro capite confrontata ad altre nazioni e federazioni di stati come gli USA di lingua inglese. Come si vede l’aspetto competitivo dell’inglese come lingua “universale” può essere un vantaggio culturale ma deve essere accompagnato da misure economiche per dispiegarsi al meglio.



Due parole sui negoziati e sulle tempistiche.

Per quanto riguarda i negoziati sulle regole, anche se l’uscita ufficiale prevede un lasso di tempo di due anni, gli scambi commerciali vivono di “vita propria”. I negoziati UE UK possono dar vita ad un accordo nuovo oppure seguire tariffe e regole sulla base di un accordo già esistente preso a modello. Come accordo standard — qualora non se ne trovi uno — viene recepito quello che viene definito “Most Favoured Nation”, che sarebbe quello del WTO.

Esempi di accordi commerciali sono:

European Economic Area (EEA) : UE – Islanda, Norvegia e Liechtenstein
European Free Trade Association (EFTA) : UE – Svizzera
Customs union : UE – Turchia
World Trade Organization : UE – Altre nazioni

Sulla tempistica non sono presenti — come ovvio che sia — precedenti a cui ispirarsi ma si possono valutare i negoziati precedenti per valutare che effettivamente tali accordi non si risolvono in fretta e che probabilmente risentono anche di valutazioni politiche che nulla hanno a che fare con l’economia (pensiamo alle scadenze elettorali dei vari stati Europei in concomitanza dei negoziati commerciali dopo il brexit).



Una cosa va detta sulla propaganda del fronte opposto — soprattutto sull’aspetto dell’immigrazione — e cioè che, non solo si devono spiegare le ragioni opposte ai vari populismi europei ma lo si deve fare bene e correttamente. Come piccolo esempio mi viene in mente quando — dopo aver ricevuto il classico attacco dei populisti sugli “stranieri che rubano il lavoro” — il rappresentante moderato risponde che i migranti fanno lavori che non vogliono fare più i “nativi”.

Questo, che può anche essere vero, non risponde appieno alla complessità delle cose e risponde ad una “semplicistica mezza verità” con un’altra. Non esisterebbe la struttura sociale così come la conosciamo senza la UE, l’euro e gli scambi commerciali. I 10 stranieri che lavorano in una ditta di 20 lavoratori dipendenti non ne stanno rubando 10 ma ne stanno facendo guadagnare 20 in generale. Le ditte che aprono e che assumono non lo farebbero o lo farebbero in modo diverso se tutto l’insieme di regole fosse diverso, se i potenziali consumatori fossero di meno, o ancora se i loro prodotti e servizi avessero un prezzo finale aumentato da ulteriori costi di commercializzazione.
Insomma, bisognerebbe cercare non solo di spiegare meglio le ragioni del progressismo europeo ma di studiarlo di più.

lunedì 25 aprile 2016

La globalizzazione

Il modello economico e sociale della globalizzazione -- per dirla in termini semplici -- è stato il modo di reagire (più o meno consapevolmente) delle classi dirigenti all'aumento della demografia mondiale. Ha portato effetti positivi tra i quali il più importante: l'innalzamento dello stile di vita di un'immensa porzione di abitanti della terra. Il processo non è stato indolore ed ha portato con sé conseguenze culturali di difficile interpretazione, come il livellamento dei gusti e delle idee.

Storicamente -- se si vuole dare una nascita ideologica -- è nata da un modello liberista ed economico venutosi a sviluppare dalla consapevolezza che la struttura economica e finanziaria pre-globalizzazione non era adatta a sei miliardi di persone. Anche se criticabili e poco poetiche le multinazionali e i centri di grande distribuzione alimentare erano condizione essenziale per "dare lavoro e da mangiare" a più gente possibile. L'alternativa sarebbe stata disastrosa: le pressioni di macroaree non alfabetizzate e povere avrebbero spinto verso le zone più ricche creando una insostenibile pressione ai confini di quest'ultime.

Nei primi anni del nuovo secolo le sperequazioni createsi dall'idea originaria del modello liberista vennero ereditate dalle élite progressiste in una sorta di passaggio di mano del problema demografico. Il modello originario venne leggermente modificato per non tornare indietro in un mondo fatto di confini nazionali e di divisioni che avrebbe certamente buttato via il buono che la globalizzazione economica e finanziaria aveva portato. Quindi si cercò di mettere paletti e regole alla finanza ed aumentare il peso dello stato (l'immenso flusso di denaro che i repubblicani e i democratici immisero nell'economia americana del dopo Lehman) e si cercò di eliminare i rimasugli storici dei nazionalismi con l'europa unita per rendere più egalitario il peso del dumping sociale in Europa.

Questo processo sembra oggi messo in crisi proprio nei luoghi dove tutto ha avuto inizio: in USA e nell'Europa Unita. Populismi ed estremismi di ogni colore ed intensità dimostrano che gli effetti negativi potrebbero superare, nella percezione dell'individuo, gli effetti positivi. Questo in parte è dovuto alla condizione umana che vede le conquiste già acquisite in modo meno evidente delle eventuali future paure.

Ma se si fermasse l'analisi alla sola questione economica si farebbe una sbaglio enorme. Le paure dei cittadini dell'ex primo mondo di perdere ricchezza e sicurezza perché minacciati fisicamente ed economicamente dai paesi ex poveri è "totale"; totale in un senso che comprende l'esistenza, il modo di vivere, lavorare e di socializzare del cittadino del mondo. In primo luogo questo spaesamento si è verificato nelle metropoli; è proprio qui che la globalizzazione ha mostrato tutto il suo carattere innovativo: ogni grande città è diventata un mondo in miniatura, con tutte le sue diversità e tutti i suoi conflitti. In pratica c'è stato un mostruoso aumento di libertà (libertà nel senso proprio, come libertà di scelta) dove accanto alla pizzeria si poteva mangiare afgano o indiano, dove anche il lavoratore medio poteva comprarsi una macchina giapponese oppure un libro di uno scrittore marocchino sconosciuto. Aveva sia l'opportunità ideale che concreta; le merci, saltando confini e senza costosi ed anacronistici pit stop doganali, arrivavano velocemente e a poco prezzo. Ma gli aspetti negativi (o quelli percepiti come tali) sono rimasti uguali in tutta la sua interezza e potenza. I conflitti etnici, religiosi, sono apparsi dalle tv direttamente nelle nostre vite, nelle nostre strade; la libertà e le nuove opportunità che molte persone straniere hanno portato si sono annullate con l'odio e il rancore coltivato da anni di privazione e guerre tribali di altre persone straniere.

Adesso, con la élite progressista in crisi, sarebbe stato il turno delle destre liberiste. Le fasi della politica mondiale sono come "ondate" che si susseguono tra questi due grossi poli. E' probabile che di tanto in tanto le grosse crisi ricadano su una o l'altra élite; se una delle due non è in grado o preparata ad affrontare il cambiamento non entra la sua parte opposta "moderata" ma entra in scena la sua controparte "radicale". Adesso i populismi di destra hanno preso definitivamente il posto della parte liberal-liberista moderata e dove non è forte il radicalismo nazionalista agiscono altri populismi di diversa estrazione ideologica, come Podemos in Spagna o Tsipras in Grecia (anche se quest'ultimo ha preso un aspetto via via più istituzionale).

Che le paure del cittadino del mondo non siano solo economiche ma anche di altra natura lo dimostrano plasticamente vari fenomeni come -- primo tra tutti -- il terrorismo fanatico religioso, ma insieme ad esso difficoltà sociali come il passaggio dal lavoro stabile (economicamente e territorialmente) al lavoro flessibile, la crisi della socialità politica generale che si rispecchia nei partiti e nei sindacati. In pratica alla immensa libertà individuale e ad una circolazione mai avvenuta delle idee a livello planetario non è corrisposta una costruzione sociale che garantisse un minimo di sicurezza economica ed esistenziale dell'individuo.

Che fare? Tornare indietro non si può. E' anti-economico. Andare ancora più avanti accelerando è ancora più rischioso.
A complicare ulteriormente la faccenda è il fatto che questo passaggio storico avviene non con le crisi delle ideologie (come molti dicono) ma nel pieno dispiegarsi delle ideologie passate che si ripropongono affermando le solite "finte verità". Affrontare modelli economici nuovi con ideologie superate è sicuramente lo scenario che porta al fallimento. Ed è però lo scenario attuale.

sabato 19 marzo 2016

Andare avanti tornando indietro

Here we go again

Eccoci di nuovo qui a perdere tempo con i peronismi (non capiti) di casa nostra. Carenza culturale; o meglio: poca voglia di informarsi; o meglio ancora: incapacità di darsi un metodo di conoscenza. Quante volte ci è capitato in ufficio di essere sommersi di lavoro in un lasso di tempo piccolo e con gli altri colleghi già a casa o non ancora arrivati? Alla fine si fa tutto, e lo si fa male.

In pratica sta succedendo per la politica sociale la stessa cosa. Anche chi non ha mai seguito la politica pensa di poter esprimere concetti originali e mai venuti a galla (il famoso sveglia!), dimenticandosi che molte dinamiche sociali già sono state studiate e capite parecchio tempo fa. L'aspetto più preoccupante è che la questione sembra non conoscere limitazioni di "disciplina"; ognuno sa e -- per il solo fatto di pensare di sapere -- esprime. Qualcuno potrebbe obiettare: "ma tu chi razzo ti credi di essere?". Certo, anche io sono palesemente ignorante ed è per questo che sono un fanatico della delega.

Non solo della delega, ma anche della cooperazione. Se ho problemi a lavoro delego al sindacato e spero (anzi voglio) che questo sia un insieme di individualità ma che alla fine formino una identità. Lo stesso per la politica... ho bisogno e necessità dei partiti. E anche i partiti devo riconoscerli; devono dichiararsi per essere conosciuti. Progressisti? Conservatori? Altro che "né di destra né di sinistra". Il fatto di delegare ad un corpo identificabile come (più o meno) un tutto organico mi rende il meccanismo sociale più comprensibile; così come la decisione di prendere parte ad uno di questi corpi istituzionali rende meno chimeriche le mie ambizioni di cambiamento sociale.

Delegare chi sa e delegare a molte persone che concorrono alla stessa "opera". Nulla di nuovo: divisione del lavoro ed economia di scala.

Il berlusconismo ha tolto di mezzo i corpi intemedi (ghe pensi mi). Il grillismo ha completato l'opera, togliendo di mezzo la cooperazione (clicka da casa, individualmente, non parlare con altri, insulta, tanto sono tutti corrotti e nessuno ha niente in comune, appunto né destra né sinistra) .

Qual è il punto? E' la perdita di tempo, appunto.

Il peronismo berlusconiano era visibile subito (o almeno dopo poco, siamo buoni). Un monopolista che fa una "rivoluzione liberale" avrebbe fatto ridere chi avesse avuto un minimo di conoscenza dei meccanismi economico-politici. Si sono fatti girotondi su girotondi perché si riteneva che utilizzare il proprio impero economico e informativo per conquistare il potere politico e poi -- una volta conquistato -- utilizzarlo per incrementare tale potere fosse un'anomalia inconcepibile nel mondo occidentale. Questa anomalia (tenuto conto dei tempi) era riconosciuta in tutto il mondo occidentale e -- in parte -- anche in Italia.

Adesso abbiamo una azienda di marketing il cui capo nemmeno partecipa alle elezioni ma manda avanti rappresentanti che firmano una specie di contratto (che non ha ovviamente valore legale ma che è molto indicativo sul clima da stasi creato all'interno del movimento) con la ditta stessa. Di questo movimento/ditta non si conosce nulla: né bilanci, né finanziatori. A me la cosa mi sembra incredibile... non trovo altre parole.

Allora perché si perde del tempo a discutere di scontrini, trivellazioni, legge elettorale, primarie, quando non si discute delle enormità che le novità politiche -- in senso prettamente tecnico -- rendono palesi. Il centro-sinistra avrà di fronte per i prossimi anni nuovamente una destra "anomala". Dico subito che -- secondo me -- il fatto che queste situazioni al limite della democrazia compiuta si sono sviluppate (e si svolgono) nell'area della destra non ha una motivazione univoca ma una serie di motivazioni derivanti da molteplici situazioni, anche casuali e non solo sociali e storiche.

Non sono certo un fautore della superiorità culturale di un elettorato rispetto ad un altro, sarebbe un'idea stupida e superficiale. Il berlusconismo è sceso nel campo dove c'era più spazio; malgrado il suo "campo" fosse -- ricordiamolo -- craxiano e quindi di sinistra (lo so, adesso fa ridere ma così era). Non credo -- con l'impero televisivo che aveva -- che Berlusconi avrebbe avuto difficoltà a costruirsi una retorica da leader populista di sinistra, difensore degli oppressi. Anche il grillismo ha svoltato a destra non solo per natura intrinseca dei movimenti forcaioli ma perché, come una vera azienda di marketing sa, vuole vendere il proprio prodotto dove c'è più margine commerciale. In Italia si vende bene sopra le macerie ex-berlusconiane.

Ma queste sono discussioni. Il fatto principale è che sta partendo lo stesso film del 1994. Con le istituzioni costantemente delegittimate dal gentismo e con in più il contorno di movimenti anti-sistema che si dispiegano con forza in tutta europa. In tutto questo è sempre divertente vedere come la sinistra trovi il tempo di dividersi, gli intellettuali moderati di destra e di sinistra, conservatori e progressisti discutere ma mai avere il coraggio di prendere una posizione netta. Surreali poi le disquisizioni sulla Bedori: "è disoccupata non sarebbe andata bene" e la Raggi: "parla bene ma potrebbe avere difficoltà a governare". Come se questo fosse il punto.

Mi viene in mente un libro (L'illusione populista, Taguieff) che ho letto -- e che consiglio -- dove viene trattato lo choc provato dai francesi dopo l'ascesa di Le Pen. Nel libro -- riassumo -- si dice: "attenzione che se non si cerca di risolvere la vera questione che sta dietro al successo lepeniano, non la si studia e la si derubrica intellettualmente enunciando solo un antifascismo storico di facciata, allora la situazione si ripresenterà".

Detto fatto.

La situazione sociale italiana non si risolve solo in questo e la discussione diverrebbe molto lunga. Altre due considerazione -- a livello minimale -- le voglio comunque fare.

La prima è che il populismo (è storicamente dimostrato) non si batte con la razionalità e la moderazione ma si tiene sotto controllo con altrettanto populismo. Anche recentemente la regola non ha fatto eccezione: Bersani è stato triturato, Renzi tiene botta in quanto demagogico nei modi, sebbene non nei contenuti.

La seconda è che le istituzioni europee debbono prendere atto che siamo di fronte alla necessità di attuare decisioni altamente politiche per evitare che l'europa non diventi una enorme repubblica di Weimar federata. A livello economico e culturale. Non siamo di fronte alla xenofobia storicamente conosciuta ma ad un vero e proprio straniamento della cittadinanza. Non solo fenomeni immigratori massicci ma anche emigrazione e costante cambio di vita lavorativa (la vita liquida di Bauman); una sorta di nomadismo per chi è costretto a viaggiare e di cambio continuo di "paesaggio" metropolitano e quindi di cambiamento anche per chi "rimane" che non ha eguali nella storia.

mercoledì 13 gennaio 2016

Il giornale indipendente Fatto Quotidiano

Il giornale che "non fa sconti a nessuno" ha deciso -- visto il momento delicato -- di tornare alle origini. Censura, e ancora censura.



Dove siano violazioni al codice dei commenti del giornale in questo commento non è dato sapersi. Di sicuro insultare un' intera categoria di politici, militanti e simpatizzanti passa lo standard dei commenti (eh beh, essendo una Verità rivelata del Guru non di discute).




mercoledì 6 gennaio 2016

Le origini del terrorismo in Italia - terza parte -

Le brigate rosse


["La notte della repubblica" Sergio Zavoli]

Le Brigate Rosse sono state l'organizzazione rivoluzionaria e terroristica più longeva e spietata che abbia operato in Italia nel periodo denominato "anni di piombo". Di ispirazione marxista-leninista e di estrema sinistra si dotò di una organizzazione efficiente e clandestina che la portarono a diventare presto un modello ineguagliato anche a livello europeo. Quello che si sa di questo gruppo terroristico lo si è appreso nel tempo per mezzo delle sentenze dei tribunali, delle commissioni d'inchiesta parlamentare e -- soprattutto -- delle dichiarazioni rese dai "pentiti". Una delle poche questioni su cui c'è una certa sicurezza è l'origine ideologica.

Le BR sono nate da una mescolanza di tre principali "fonti ideologiche" che ebbero anche tre diverse connotazioni geografiche. La prima fonte è Milano, con le prime multinazionali insediate nel territorio e il conflitto operaio giunto ad un livello altissimo; leader indiscusso di questo fronte -- chiamiamolo operaista -- è Mario Moretti, lavoratore della Sit-Siemens. Il secondo crebbe e si sviluppò nel veneto ed in special modo nella ormai famosa università di sociologia di Trento dove studiarono altri due capi storici del gruppo terroristico, Mara Cagol e Renato Curcio. In questa università umanistica si ebbe la originale auto-contestazione degli studenti che si ritenevano "strumenti nelle mani della classe dominante"; in pratica si videro come futuri "ingegneri sociali" che -- allo stesso modo dei tecnici delle aziende moderne -- avrebbero dovuto ingegnerizzare e rendere produttivo (per gli scopi capitalistici) anche il cittadino fuori dalle fabbriche, nella sua vita quotidiana. Il terzo venne dalle campagne e piccole città dell'Emilia Romagna, dai fuoriusciti del partito dominante della zona -- il PCI -- con cui erano in aperto contrasto, come Alberto Franceschini e Prospero Gallinari; questi erano la "memoria storica" e l'avanguardia ideologica delle BR.


["La notte della repubblica" Sergio Zavoli]

Ma perché le BR hanno avuto così tanto successo propagandistico e militare? Cosa avevano di diverso dalla pletora di movimenti di estrema sinistra che -- anche loro -- non disdegnavano l'uso della violenza?
La risposta -- ma è una mia opinione personale -- è più semplice di quanto si possa pensare. All'apparenza si potrebbe rispondere che la durata e la quantità di individui che sapeva "arruolare" questo gruppo era dovuta all'organizzazione e alla ricerca maniacale per i dettagli allo scopo di evitare pericoli provenienti dall'esterno. Ma la singolare organizzazione delle BR fu un effetto derivato da una causa principale, esattamente come la scelta della clandestinità fu un effetto fatale causato dalla ricerca spasmodica nell'evitare ogni possibile pericolo esterno e infiltrazioni. 

Questa causa principale fu la chiarezza dell'obiettivo dichiarato: la presa del potere dello Stato. 

Le brigate rosse -- in aperto contrasto con gli altri movimenti che definiva spregiativamente parolai e inconcludenti -- si proponeva la costruzione di un partito armato. Fu questa la differenza abissale con altri gruppi anche di un certo seguito come Prima Linea e Autonomia Operaia; tutti -- ma proprio tutti -- i movimenti si dichiaravano tali e non accettavano un irrigidimento dei loro militanti in forme che ricalcassero le forme partitiche.

Sergio Segio, uno dei capi del gruppo armato Prima Linea, traccia le differenze con le brigate rosse.


["La notte della repubblica" Sergio Zavoli]

Questo limite (uso questo termine da un punto di vista puramente tecnico) fu abbattuto dalle BR che si posero allo stesso livello della DC, del PCI e degli altri partiti. Non più -- come a sinistra -- combattere con la violenza per acquisire coscienza, né -- come a destra -- "destabilizzare per stabilizzare" ma un partito (armato) vero e proprio con tanto di "programma di governo".

L'organizzazione politico-militare

L'organo al vertice dell'organizzazione era il Comitato Esecutivo, quello che si potrebbe chiamare "l'esecutivo"; questo comitato era eletto dalla Direzione Strategica, un'assemblea di 10-15 persone massimo che si riuniva una o due volte l'anno e che dava anche l'indirizzo militare e politico alle BR. A livello nazionale l'organizzazione era divisa in Colonne autonome; se ne contarono quattro simili e molto organizzate: Milano, Torino, Genova, Roma, più altre due un po' diverse come caratteristiche: la colonna Veneta e Napoli. 

Ogni Colonna aveva un capo colonna e una serie di militanti. I militanti erano divisi: i regolari, quelli che avevano fatto la scelta della clandestinità ed operavano ai massimi vertici delle brigate rosse, e gli irregolari, quelli che avevano una doppia vita e che facevano opera di propaganda, volantinaggio, lotte operaie all'interno delle fabbriche, ma che comunque continuavano la loro vita di cittadini studenti o lavoratori. Gli irregolari erano organizzati in "brigate" ed avevano un referente regolare clandestino all'interno della Colonna; ogni nuovo aspirante militante doveva passare dalla "brigata" e la sua candidatura all'interno dell'organizzazione doveva essere presentata al capo brigata che la passava -- per un'analisi -- al capo colonna. Oltre a questo c'erano anche i Fronti che erano dei militanti clandestini specializzati in alcune tematiche (logistica, propaganda ecc ecc); questi Fronti, verticali per quanto riguarda i temi, "tagliavano" l'organizzazione orizzontalmente. Ad esempio c'era il Fronte della Logistica specializzato in acquisto di armi, passaporti falsi, collegamento tra varie colonne e il Fronte di Massa, specializzato nella vita della fabbrica. Ogni colonna aveva almeno un esponente dei due fronti (erano in via di preparazione altri Fronti). Ecco alcune spiegazioni di Franco Bonisoli, appartenente al comitato esecutivo dell’epoca.




["La notte della repubblica" Sergio Zavoli]

Di seguito un estratto di una risoluzione in merito all'organizzazione redatta nel 1974.
RISOLUZIONE DELLA DIREZIONE STRATEGICA N°2
LA DIREZIONE STRATEGICA.
E’ la massima autorità della nostra Organizzazione.Essa raccoglie e rappresenta tutte le tensioni e le energie rivoluzionarie maturate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregolari.Sono gli organi di direzione collegiali delle colonne e dei fronti che eleggono i membri della DS, ma il Comitato Esecutivo può porre il veto su eventuali nomine quando esistano motivi di sicurezza che lo impongano. Le motivazioni d'eventuali esclusioni dovranno, comunque essere rese pubbliche durante l’assemblea. E l’assemblea ha il potere di decidere.I membri della DS rimangono in carica da una sessione all’altra e possono essere riconfermati o non riconfermati.Sta al consiglio della DS formulare gli orientamenti generali e di linea politica dell’organizzazione. Gli sono riconosciuti da tutti i membri dell’Organizzazione i seguenti diritti:- il diritto di emanare leggi e regolamenti rivoluzionari;- il diritto di applicare correzioni disciplinari nei confronti di quei membri dell’organizzazione che abbiano tenuto un comportamento scorretto o controrivoluzionario;- il diritto di formulazione, approvazione e revisione del bilancio;- il diritto ed il potere di modificare le strutture dell’Organizzazione;il diritto di nominare i membri del Comitato Esecutivo e di chiedere ragione del loro operato.Il Consiglio potrà essere riunito normalmente due volte l’anno e straordinariamente quando ciò sia richiesto almeno da una Colonna, da un Fronte o dal Comitato Esecutivo.
IL COMITATO ESECUTIVO.
Al Comitato Esecutivo spetta il compito di dirigere e coordinare l’attività delle colonne e dei fronti tra un Consiglio e l’altro.Esso risponde del suo operato direttamente ed esclusivamente al Consiglio e da questo viene nominato e può essere revocato.Nel CE devono essere rappresentati i Fronti e le Colonne in modo da consentire un’efficace centralizzazione dell’informazione e una rapida esecuzione delle direttive. Tutte le azioni militari di carattere generale devono essere approvate dal CE.Tutte le azioni d'esproprio devono essere approvate dal CE.Per decisioni particolarmente importanti che impegnano l'Organizzazione il CE dovrà consultarsi con i vari membri della DS.Il CE potrà applicare quelle sanzioni che riterrà più idonee a garantire la disciplina rivoluzionaria.Al CE spetta la responsabilità dell’amministrazione e del patrimonio dell‘Organizzazione.Spetta anche al CE la responsabilità politica della stampa d’Organizzazione e dell’emissione di comunicati politici generali.I membri del CE non devono avere rapporti politici con l’esterno dell‘Organizzazione.Non devono svolgere azione di reclutamento.Devono restringere all’indispensabile e tendenzialmente eliminare anche i rapporti con le FI.
Essi partecipano, come tutti gli altri membri dell’Organizzazione, alle azioni militari, d'esproprio e ai lavori manuali.
(qui la versione integrale del documento BR)

Questo tipo di organizzazione rendeva le BR un gruppo difficilmente "smantellabile" per via del fatto che i vertici erano clandestini e per la compartimentazione elevata quasi ad ideologia. Ad esempio ogni militante appartenete al Fronte della Logistica conosceva gli appartenenti di tali sotto-organizzazione a livello nazionale ma non aveva la possibilità di conoscere gli irregolari, come -- altro esempio -- il capo brigata conosceva tutti i suoi irregolari ma non aveva approfondita conoscenza dei militanti clandestini appartenenti ai Fronti di altre colonne. Bisogna subito dire che nonostante la cura maniacale per la clandestinità e le regole, non sempre queste stesse norme vennero seguite scrupolosamente. Prova ne è l'arresto contemporaneo di Franceschini e Curcio avvenuta grazie ad un infiltrazione durata pochi giorni.

Un esempio di questa -- almeno a livello teorico -- cura si può leggere su un vademecum brigatista.


Note di comportamento
Il lavoro politico di ogni compagno si svolge all'interno di una colonna. Tutti i rapporti politici devono dunque essere controllati e valutati. Non si deve mai andare a un appuntamento o fare un lavoro particolare senza che qualcun altro dell'organizzazione non ne sia al corrente. In particolare per contatti con nuovi elementi esterni è necessaria una discussione preventiva coi responsabili della colonna. 
Viaggiando evitare ogni occasione di litigio; guidare con estrema prudenza e totale rispetto del codice stradale. 
APPUNTI: 1.Non si prendono se riguardano l'organizzazione e la sua vita: si memorizzano. 2.Valgono per tutte le analisi generali, evitando di indicare nomi, luoghi, situazioni determinanti. 3.Non dimenticarli, non portarli con sé in azione. 4.prestarli solo in caso di reale necessità. 5.Non vi devono figurare né indirizzi né tanto meno numeri telefonici. 
DISCORSI: 1.Evitare discussioni sulla vita dell'organizzazione -anche con compagni- fuori dalle sedi adatte. 2.Nei luoghi pubblici, quando ci si trova tra compagni, si evitano pre o post riunioni: questo specie in vicinanza delle sedi. 3.Partire dall'ipotesi che tutti i telefoni sono controllati e quindi limitarne l'uso a brevi comunicazioni. 
MACCHINE: Anche la macchina è un bene che l'organizzazione dà in dotazione al compagno. Egli è dunque responsabile della sua manutenzione. I documenti della macchina vanno accuratamente controllati al momento della consegna per verificare eventuali imperfezioni. Essi vanno inoltre periodicamente controllati tenendo presenti le varie scadenze dei bolli, della patente. La macchina all'interno deve figurare ordinata. Non devono esserci accumulati giornali di ogni genere, volantini o cartacce. Ogni sera occorre  togliere l'eventuale radio o mangianastri, o altro che possa attirare l'attenzione dei ladruncoli. Per principio ogni militante deve presentarsi con aria rassicurante e gentile con i vicini di casa, ma è assolutamente necessaria una stretta riservatezza. È molto importante per l'organizzazione riuscire a non farsi fotografare o tanto meno riprendere in TV. 
PERSONA: Ogni compagno deve essere decorosamente vestito ed in ordine nella persona: barba fatta, capelli tagliati. È bene girare con non più di due documenti e cioè la patente e una carta d'identità non legata ad alcunché. Bisogna avere con se solo il materiale  strettamente necessario al lavoro che si sta conducendo. Ogni militate dovrà portare la propria arma addosso.
RAPPORTI CON COMPAGNI ESTERNI ALL'ORGANIZZAZIONE: Per nessun motivo i compagni delle forze regolari devono frequentare le case dei compagni irregolari o di militanti non completamente esterni all'organizzazione. 1.Con tali compagni la discussione riguarda esclusivamente le analisi generali e la strategia. Non si deve fare assolutamente alcun riferimento all'organizzazione. 
Queste note non basta averle in tasca o in testa: si devono assimilare e mettere in pratica sin da ora. Poi si distruggono. OGNI LEGGEREZZA E' L'INIZIO DI UN TRADIMENTO. ANCHE SENZA VOLERLO POSSIAMO COMPORTARCI DA SPIE E DA DELATORI. IL IL RISULTATO NON CAMBIA: LA SI PAGHERA' CARA. 

(qui la versione integrale del documento delle BR sulle norme della clandestinità)

Per quanto riguarda la "politica estera" sono noti alcuni contatti con la Rote Armee Fraktion (RAF) presente nella Germania Ovest, la minoranza oltranzista dell'OLP palestinese, e alcuni ambienti dell'estrema sinistra parigina. In realtà con la RAF non ci fu una piena assonanza ideologica in quanto per le BR il gruppo tedesco dava poco spazio al movimento operaio ed era troppo appiattito sulle posizioni dell'Unione Sovietica colpevole per i brigatisti italiani di "socialimperialismo". Mentre i contatti con l'OLP erano di natura prettamente strategica, di scambio armi ed informazioni.

Le varie commissioni d'inchiesta sul terrorismo in Italia hanno dato per (quasi) sicuro anche un certo attivismo (infiltrazioni nelle BR) dei servizi segreti israeliani, preoccupati che l'avanzare del PCI nella società italiana e nel governo nazionale avrebbe fatto virare "l'anello debole" italiano verso una politica estera filo-palestinese.

Alcune considerazione della commissione d'inchiesta su Aldo Moro e il terrorismo delle BR in merito alla RAF e all'organizzazione palestinese OLP

Il passaggio dalla propaganda armata all'attacco contro il potere democratico

Le operazioni in fabbrica servirono alle Brigate Rosse per "farsi conoscere" e per arruolare il maggior numero di militanti -- specialmente operai -- alla propria causa. Gli incendi alle ditte, i rapimenti dei datori di lavoro e dirigenti di fabbrica, furono solo un passaggio obbligato per acquisire la prassi movimentista e violenta e per avere un numero sufficiente di militanti tale da poter far sorgere il partito armato con tutte le sue articolazioni burocratiche. Questa prima fase risultò vincente per la propaganda; pensiamo al motto "punirne uno per educarne cento" inventato durante il rapimento del dirigenti Idalgo Macchiarini. E' il periodo del maggior consenso politico delle BR, il periodo del "né con lo stato né con le BR". Bisogna aggiungere che il periodo storico dell'epoca 70-74 (primi anni delle BR) fu un periodo in cui usare la razionalità era impresa non facile; questa non deve essere presa come scusante -- omicidi ideologici e quindi premeditati in società che permettono l'espressione democratica non sono scusabili -- ma non si possono tacere le violenze e le sopraffazione che molti lavoratori subivano (soprattutto nel sud dove la legalità dentro e fuori i posti di lavoro erano assai scarse) e le stragi che rimanevano impunite anche per opera di appartenenti allo stato. E' il periodo subito dopo la strage di Piazza Fontana e che vide un'ulteriore e tremendo attacco stragista a Brescia in Piazza della Loggia.

Lasciando perdere i fatti processuali era pensiero diffuso che quelle stragi fossero "stragi di stato"; questo -- a livello socio-culturale -- fu un peso devastante per la convivenza civile del paese. 

Nelle parole di Franceschini si nota come questa ambiguità sulle stragi pesasse in modo dirimente, quasi di prova decisiva a carico dell'anti-democraticità sostanziale del Governo nazionale.


["La notte della repubblica" Sergio Zavoli]

Il rapimento Sossi

In questo clima si arriva nel 1974 al rapimento di un magistrato a Genova, Mario Sossi che stava indagando sul movimento estremista XXII Ottobre. Questo rapimento segna la svolta di cui si discuteva sopra: l'attacco diretto alla stato, in questo caso ad uno degli organi, la magistratura. Come "prezzo" politico da pagare le BR richiedono la scarcerazione dei militanti della XXII Ottobre. Si delinea tra gli appartenenti allo stato sotto varie forme (politici, magistrati ecc ecc) una contrapposizione tra la linea della fermezza e quella della trattativa. Si avrà uno spaccato di quello che succederà poco più tardi quando le brigate rosse sequestreranno l'Onorevole Aldo Moro, Segretario della DC.


["Rapimento Sossi" Rai Storia]

Oramai le "sedicenti brigate rosse" (come venivano chiamate dopo le prime azioni) diventano il punto di riferimento dei gruppi armati di estrema sinistra che vedono nella politica armati di questo gruppo l'unica soluzione per un cambio reale di potere. Lo scontro con i neo-fascisti, la propaganda nelle fabbriche diventano marginali rispetto all'obiettivo principale, e cioè la sostituzione al governo della DC, dei suoi alleati e dei "finti nemici" del PCI con il partito armato delle Brigate Rosse.

E' il caso di riprendere le affermazioni di Alberto Franceschini sopra, quando gli viene chiesto se con la qualificazione violenta delle loro proposte le BR non facessero il gioco del blocco sociale italiano reazionario. In un periodo di crisi economica con un alto tasso di degrado sociale accompagnato ad una conflittualità ideologica che si estese anche a porzioni di cittadinanza non coinvolta in estremismi, questa è una domanda che -- a posteriori -- sembra centrare un punto importante. Quel periodo storico sembrò portare, in una sorta di spirale fatalistica, le posizioni contrarie (che magari in partenza potevano considerarsi moderate) ad estremizzarsi. Dopo Piazza Fontana, i movimenti estremisti si organizzano in vere e proprie bande armate (XXII Ottobre, Prima Linea, Brigate Rosse); una volta egemonizzata l'area antagonista dell'estrema sinistra movimentista le BR "alzano il tiro" ed "escono dalle fabbriche" per combattere direttamente lo Stato. Nel caso Sossi, la Magistratura.

Forse sarà un caso, forse no. Comunque, il rapimento del Procuratore di Genova è del 18 aprile 1974, viene rilasciato il 23 maggio. Il 28 maggio a Brescia in Piazza della Loggia succede questo...



[Strage Piazza della Loggia Brescia]

Dopo le bombe di Roma e Milano, dopo Gioia Tauro, un' altra bomba. Un'altra strage, 8 morti a Piazza della Loggia. Si fa strada l'idea -- anche da parte di ambienti moderati -- di uno stato, se non colpevole, poco trasparente quando si devono scovare i colpevoli; i movimenti di estrema sinistra armati assicurano che penseranno loro a fare "giustizia" in modo sbrigativo, siano essi neo-fascisti, magistrati o politici. La giovane Repubblica Italiana non è mai stata così vicina ad una guerra civile.

Di certo il 1974 segna un ulteriore incremento ed evoluzione dello scontro armato. Per fermarlo si farà strada, tra la classe dirigente e politica, l'idea del "governo di salute nazionale" per cercare di includere alcune rivendicazioni che venivano dalla parte più esposta alla crisi economica e sociale del paese. L'intenzione da parte dei politici di allora era di ipotizzare un "compromesso storico" tra le due grandi forze sociali del paese: la DC e il PCI.

Un accordo ai più alti livelli; malvisto da molte parti, dagli americani su tutti. Un accordo che smussava le contrapposizioni ideologiche e che -- per questo -- non era ben visto sia dalle BR sia da chi -- all'interno dei reparti militari e dei servizi segreti -- grazie a quella contrapposizione aveva costruito carriere e potere.





Commissione d'inchiesta sul rapimento e l'uccisione di Aldo Moro - Rapporti tra le Brigate Rosse e l'organizzazione palestinese OLP -

Rapporti con i palestinesi

Da numerose testimonianze di "pentiti" risulta che sia le BR, sia Prima Linea, hanno stabilito rapporti non occasionali con gruppi minoritari ed estremisti della resistenza palestinese dai quali, o tramite i quali, hanno ricevuto forniture di armi, di cui due particolarmente consistenti.

Le armi cominciarono ad arrivare subito dopo l'assassinio dell'onorevole Aldo Moro e determinarono un salto qualitativo e quantitativo nell'armamento delle maggiori organizzazioni terroristiche.
Di questo improvviso flusso di armi si rese conto anche Barbone, che pure militava in un gruppo minore, il quale ha dichiarato: "avemmo la certezza che fossero stati aperti dei rubinetti che fino a qualche tempo prima, invece, erano chiusi".

Un primo carico fu trasportato dal Libano in Italia, nell'estate nel 1978, dai CO.CO.RI. di Oreste Scalzone che si avvalevano, per questo traffico, dell'opera di Maurizio Folini (Armando).

Numerosi indizi portano a ritenere che ad aiutare Folini a procacciarsi le armi possano essere stati il FPLP di George Habbash o, come ha riferito Sandalo, "gruppi minori che sfuggono alle trattative e agli impegni che l'OLP prende e decide a livello europeo e mondiale".

L'imbarcazione fu fornita da Folini e sembra accertato che lo sbarco, diversamente da quanto affermato da Sandalo, che ha indicato Brindisi, sia avvenuto a Fiumicino. Le armi, di fabbricazione russa e cinese, furono distribuite a Prima Linea, alle BR e ad un gruppo minore denominato PAC.

Va però notato a questo proposito che mentre le armi trasportate da Moretti, e sulle quali si riferirà tra poco, furono ottenute e distribuite gratuitamente, quelle di Folini furono acquistate e rivendute, sia pure a prezzi considerati "politici". Prima Linea, ad esempio, sborsò 16 milioni per ottenere 4 o 5 AK47 e un certo quantitativo di bombe a mano anticarro e antiuomo. Anche a Marco Barbone furono richiesti 5 milioni, da versare anticipatamente, per una fornitura di armi che i CO.CO.RI. si ripromettevano di poter fare organizzando un secondo trasporto che poi non ebbe luogo. Si è quindi portati a ritenere che, per quanto riguarda le armi trasportate da Folini, i palestinesi abbiano in realtà fatto da tramite con veri e propri mercanti d'armi libanesi.

Lo stesso Donat-Cattin ha dichiarato al giudice istruttore di essere certo che il FPLP di George Habbash si limitò a mettere in contatto Folini con un mercante d'armi.

Attraverso le forniture di armi Scalzone tentò di realizzare l'ambizioso progetto di spingere verso l'unificazione le diverse organizzazioni terroristiche e di affermare su di esse la sua leadership politica. La recisa opposizione delle BR fece però subito naufragare tale tentativo.

Secondo Barbone i dirigenti di "Rosso" intrattennero rapporti con tutti i gruppi terroristici europei e svolsero un ruolo nelle iniziative tendenti a creare un rapporto tra terrorismo italiano e palestinesi. In particolare Strano si sarebbe recato in Medio Oriente, dove fu fotografato in un campo di addestramento palestinese. Col FPLP ebbe certamente rapporti Pifano, essendo nota la dichiarazione rilasciata da George Habbash al momento in cui l'esponente di Autonomia fu sorpreso ed arrestato mentre trasportava alcuni missili.

Anche i rapporti diretti delle BR con i palestinesi iniziarono dopo l'assassinio dell'onorevole Moro con un incontro avvenuto a Parigi tra Moretti e "un rappresentante non ufficiale dell'OLP".
Secondo Savasta, i palestinesi, colpiti dall'efficienza dimostrata dalle BR, avrebbero offerto il loro appoggio in cambio di un impegno delle BR ad attaccare in Italia obiettivi israeliani e la NATO. Le BR avrebbero accettato tale condizione, tanto che fra il novembre e il dicembre 1979 condussero, in vista di un attentato, una inchiesta sull'addetto militare israeliano a Roma.

Secondo Peci, invece, le armi sarebbero state donate come compenso per il contemporaneo trasporto di altre armi destinate all'IRA e le BR avrebbero chiarito subito di non essere interessate a divenire "il braccio armato dell'OLP in Italia" essendo il loro obiettivo la guerra di classe. Analogo, come vedremo, il racconto di Sandro Galletta.
A far ritenere più esatta, per quanto riguarda la contropartita, la versione di Savasta, oltre ai successivi sviluppi sui quali si riferirà tra breve, sta il fatto che, in occasione dell'arresto di Bruno Seghetti e Luca Nicolotti, avvenuto a Napoli il 19 maggio 1980, fu trovato in loro possesso un appunto scritto in lingua inglese nel quale erano indicati i nomi, le qualifiche e gli indirizzi dell'ambasciatore e dell'addetto militare israeliani a Roma.

Galati, d'altra parte, ha riferito che Moretti, allorché esercitò pressioni sulla colonna veneta perché fosse condotta un'azione contro un alto ufficiale della NATO, fece riferimento alla necessità "di impiegare le armi nell'uso per il quale ci sono state consegnate".
Una prima offerta di aiuto consistette nell'invito ad inviare militanti BR ad addestrarsi in campi nel Libano, ma tale offerta fu rifiutata per le difficoltà ed i pericoli che un così lungo viaggio comportava. Fu accettata, invece, la fornitura di armi.

Savasta ha parlato di un primo carico di armi trasportato via terra, dalla Francia alla Liguria, nell'estate 1978 da Moretti, Lo Bianco, Dura e Miglietta.
In considerazione del fatto che Savasta ha dimostrato di essere poco informato su questa prima spedizione, e tenendo conto che egli ha ripetutamente affermato che i carichi furono soltanto due, è possibile che, in effetti, si sia trattato dello stesso carico trasportato da Folini via mare. Coincide, del resto, anche la descrizione del materiale trasportato. 

E' certo, invece, che un secondo carico fu trasportato, nell'estate del 1979, dall'imbarcazione "Papago" a bordo della quale erano Moretti, Dura, Galletta ed il medico Massimo Gidoni, proprietario dell'imbarcazione.

Per quanto riguarda le modalità del trasporto conviene riferirsi al racconto che del viaggio ha fatto Galletta il quale, pur essendo un gregario politicamente non qualificato e quindi non in grado di dare giudizi autorevoli sugli aspetti politici della vicenda, è certamente più informato di altri sui fatti ai quali ha personalmente partecipato.
Galletta ha raccontato che il "Papago" partì dal porto di Numana, nei pressi di Ancona, e fece tappa a Brindisi e a Cipro. A Brindisi la Capitaneria di porto non controllò i documenti, mentre a Cipro fu necessario esibire i passaporti, autentici per Galletta e Gidoni, falsi per Moretti e Dura.
L'imbarcazione sostò un giorno nel porto di Cipro e quattro giorni in una rada adiacente.
Durante la sosta Moretti scese a terra per incontrare una persona e, al suo ritorno, informò gli altri che erano arrivati in anticipo.

Ripartita da Cipro, l'imbarcazione giunse in vista della costa libanese e si ancorò quattro miglia al largo di una città dominata da una fortezza. Qui essa fu raggiunta da un'altra imbarcazione a bordo della quale erano uomini armati e si procedette al trasbordo delle armi: circa 150 mitra Sterling con due caricatori ciascuno; una decina di FAL di produzione belga; due mitragliatrici leggere rispettivamente di fabbricazione russa e cinese; sei granate a razzo; due tubi lanciarazzi; due cassette di bombe a mano tipo ananas; cinque o sei quintali di esplosivo plastico; venti granate "Energa"; detonatori elettrici e a miccia; munizioni calibro 9 lungo; 25 involucri contenenti missili.
La maggior parte del quantitativo di armi era destinata all'IRA e, probabilmente, anche all'ETA.

Galletta ha dichiarato: "le armi furono consegnate senza pretendere corrispettivi in denaro: in definitiva chi ce le consegnò pretese solo in controprestazione che una parte delle stesse fosse custodita dall'organizzazione e fatta successivamente pervenire ad altri gruppi terroristici europei. Per evitare confusione le armi non destinate alle BR furono, all'atto della consegna, contrassegnate con segni di colore azzurro".

Durante il viaggio di ritorno, il "Papago" sostò a Cipro e a Tricase. Le armi furono trasbordate, nei pressi di Venezia, su un'imbarcazione condotta da Andrea Varisco e da Vincenzo Guagliardo e da questa sbarcate a Quarto d'Altino. Da qui le armi furono trasportate a Mestre ove avvenne la distribuzione alle varie colonne BR.
Circa l'identità dei fornitori, Galletta ha potuto soltanto dire di aver saputo da Dura "che si trattava di una frazione dell'OLP, dissidente ovvero minoritaria".

Le armi non destinate alle BR furono immagazzinate in due depositi costituiti a Montello (Treviso) e in una località della Sardegna. Anche Peci ha parlato della costa libanese come punto d'imbarco. Savasta ha invece affermato che le armi furono caricate nelle acque di Cipro, ma tale suo convincimento pare frutto di un equivoco. Moretti, infatti, allorché Peci fece le prime rivelazioni sull'episodio, confidò a Savasta la sua soddisfazione per il fatto che Peci non avesse parlato di Cipro, dato che sarebbe stato possibile, attraverso le autorità cipriote, identificare Galletta e Gidoni che erano stati registrati dalle autorità portuali dell'isola con le loro generalità, avendo esibito passaporti autentici. Questa confidenza di Moretti ha portato Savasta a ritenere che le armi fossero state caricate a Cipro.

Resta poi il fatto che, una volta ottenute le armi, le BR cancellarono dai loro programmi le azioni promesse ai palestinesi, secondo Savasta per la difficoltà politica di conciliarle con la strategia dell'organizzazione, tutta incentrata sulla vicenda italiana.
Tale disimpegno ebbe la conseguenza di raffreddare i rapporti con i palestinesi, che giunsero ad interrompersi anche a causa di nuove difficoltà insorte.
Al momento dell'entrata di Savasta nell'esecutivo (gennaio 1981) i rapporti erano già interrotti.

Risulta da numerose testimonianze che i contatti con i palestinesi sono stati sempre mantenuti a Parigi, laddove operava (e forse opera tuttora) una "rete di compagni".
Del loro mantenimento si curò sempre Moretti, che si avvaleva della collaborazione della Braghetti, mentre, dopo l'arresto di costoro, l'incarico passò a Miglietta ed a Guagliardo che erano i soli ai quali Moretti aveva trasmesso un numero telefonico segreto di Parigi, necessario allo scopo. Poiché la "rete parigina" assicurava i collegamenti delle BR con i palestinesi e con altri gruppi armati stranieri, l'arresto di Miglietta e di Guagliardo mise praticamente in crisi tutti i collegamenti internazionali.

Tale era la situazione al momento dell'arresto di Savasta.

Certo, a prima vista, può apparire assurdo il fatto che sia i gruppi palestinesi, sia i servizi israeliani, impegnati in una dura guerra tra loro, possano essersi trovati d'accordo nell'offrire aiuti al terrorismo italiano.
Come si vedrà più avanti, gli israeliani potevano avere interesse, in un certo momento, alla destabilizzazione del quadro politico italiano, sia perché convinti che il governo americano sarebbe stato costretto ad offrire il massimo appoggio ad Israele, una volta constatata la fragilità dell'alleato italiano, sia perché preoccupati di una possibile evoluzione in senso filoarabo della politica estera italiana in caso di partecipazione comunista alla maggioranza di governo.

Ci si chiederà allora come è possibile che gruppi che militano nella resistenza palestinese non abbiano avvertito l'esigenza opposta.

Una spiegazione convincente può essere trovata considerando che esiste all'interno dell'OLP una grave divergenza su questo problema. I settori maggioritari della resistenza palestinese, pur seriamente impegnati nella guerra contro Israele, puntano in effetti ad una soluzione politica del conflitto e manifestano grande interesse al problema delle alleanze internazionali ed all'atteggiamento dei governi europei nei confronti della causa palestinese: da qui l'appello di Yasser Arafat per la salvezza di Moro ed il rifiuto di ogni appoggio al terrorismo europeo. 

Di contro, settori minoritari, ma presenti all'interno dell'OLP, non nutrono alcuna fiducia nella possibilità di soluzione politica della questione palestinese e sono conseguentemente orientati a favorire ogni forma di attacco militare ad Israele ed alla NATO nel territorio europeo e manifestano interesse per gli effetti destabilizzanti dell'attività terroristica in paesi che pure non possono essere considerati nemici della causa palestinese.

Va infine ricordato, a conferma delle divergenze sopra riferite, che i massimi dirigenti dell'OLP hanno sempre respinto con fermezza le accuse di connivenza con il terrorismo italiano.
Dopo l'appello di Arafat per la liberazione di Moro, Nemer Hammad, rappresentante dell'OLP in Italia, dichiarava che la sua organizzazione non solo era completamente estranea alle attività terroristiche delle BR, ma considerava ogni compromissione con il terrorismo italiano dannosa per la causa del popolo palestinese. Aggiungeva però di non potere escludere in assoluto contatti delle BR con elementi palestinesi, stante l'esistenza all'interno della resistenza palestinese di frange estremiste interessate ad imporre la strategia della violenza. Non convincente appare, invece, la dichiarazione rilasciata dal Presidente del Dipartimento della Magistratura rivoluzionaria dell'OLP Abu Al Hakam dopo l'incontro di Arafat con il giudice Domenico Sica, secondo la quale nessun appartenente all'OLP, nessuno dei membri delle organizzazioni che di essa fanno parte ha mai fornito alcun appoggio ed aiuto ad organizzazioni e gruppi terroristici italiani.

L'armamento di provenienza estera.

Si è tentato di trarre prove di eventuali collegamenti internazionali dall'esame delle armi rinvenute nei covi scoperti.
Non è risultato possibile - come hanno riconosciuto i responsabili dei nostri servizi di sicurezza - considerare significativa la provenienza di un'arma da uno Stato come indice della responsabilità di quello Stato o dei suoi servizi, giacché bisogna tener conto degli strani giri che queste armi finiscono per fare.

Ad esempio il carico di armi trasportato in Italia dal Papago comprendeva mitra Sterling, bombe a mano MK2, FAL di produzione belga, razzi controcarro americani, razzi aria-terra francesi, missili anticarro Energa di produzione belga.

Il carico pervenuto via terra era composto da armi di produzione russa e cinese e da pistole Browing HP.
In Italia è stato rinvenuto in un covo un mitra di produzione italiana venduto all'esercito saudita. Altre armi sequestrate risultano in dotazione alle forze armate tunisine. Si è già detto di armi sottratte ai depositi militari svizzeri. Nessuna seria conclusione è stata quindi possibile trarre da questo esame.